FOTO DEL CORRIERE DELLA SERA
Sembrava essere finita la scorsa estate, la stagione dell'incubo di una Italia senza più una identità di quei valori umanitari ai quali eravamo abituati a riconoscerci dalla nascita.
Più
che cittadini nati nel post Rinascimento, negli ultimi anni ci
sembrava di vivere in pieno medioevo, assaliti dalla paura, madre
della violenza e dell'odio. Sembrava di essere oppressi dall'angoscia
e dall'egoismo, che sappiamo bene, tengono gli uomini prigionieri
dell’ansia e ancora più simili agli animali in condizioni di
pericolo: in perenne situazione di difesa.
Era
questo il clima che si respirava. Eravamo allo stesso tempo, preda e
predatori. Mai uomini!
In
tutta l’Italia si erano moltiplicati gli episodi di violenza contro
gli immigrati, contro artisti, giornalisti, magistrati e contro chi
salvava le vite umane in mare o in qualche altro luogo, contro i
bambini stranieri o disabili, contro gli anziani perché “colpevoli
di essere un peso per la società”, come non si era più visti dai
tempi del fascismo. Non eravamo più umani, ma bestie in preda alla
paura.
Si
sparava in piena luce del giorno contro cittadini inermi e persino
l’arma dei carabinieri si era macchiata di un reato orribile di
violenza sessuale su ragazze straniere, seppur statunitensi.
Impossibile
capire, se non alla luce dell'odio, che l’intera nazione, salvo i
cosiddetti “buonisti”, che resistevano come i partigiani
nell’epoca della seconda grande guerra mondiali, il popolo italiano
sembrava contagiato da un odio cieco, da una paura insensata di una
invasione di popoli mai esistita. Le persone si comportavano in modo
estrano, arrogante, irrazionale. Qualche volte sembravano possedute
da spiriti malvagi, tale era la cattiveria con la quale si
riferivano agli altri, gratuitamente e spesso nei luoghi pubblici.
Gli
autobus e altri mezzi di trasporto della massa erano diventati i
palcoscenico di disumano squallore. La politica italiana faceva le
veci da regista.
Un
virus? Una malattia? No. Solo pubblicità intensiva, pagata a caro
prezzo dal contribuente, di odio associato alla paura dell'altro,
chiunque essi fosse. Un odio cieco che rispondeva ad una paura
ugualmente cieca. Uomini, donne, ragazzi e persino, a volte, anche i
bambini, che sembravano non conoscere più la propria umanità, i
propri simili. La sensazione era quella di vivere circondati da
zombi, pronti ad attaccare per rubarci il sangue,la vita a pezzi e
quindi, la perenne sensazione di paura, in un costante stato di
allarme.
Dopo
il Papeete e i vari tour sulle spiaggia italiane, tra culli, tette e
mojito cubano, “Lo Stolto”(ho deciso di ribattezzarlo così)
aveva iniziato ad scavare con le sue manine la propria fossa sulla
sabbia (o così era sembrato agli spettatori acculturati), ma solo
dopo aver abusato di ogni grazia di Dio, tra moto d'acqua della
polizia come giostra per i suoi figli, apparato militare, aereo e
elicottero di stato per spostarsi in qua e in là, dove aveva pure
portato a giro la sua perenne campagna elettorale e alle sue varie
apparizioni mutandesche, a pancione peloso scoperto all'aria, dove
aveva esibito senza pudore non solo il proprio corpo, ma anche ogni
suo modo sgarbato e volgare di inghiottire i soldi pubblici, la cosa
pubblica, il popolo italiano intero, la loro vita e dignità, in un
momento di pico della sua esacerbata megalomania di onnipotenza è
caduto e in quel momento l’Italia improvvisamente sembrava essere
uscita dalla maledizione di un cattivo incantesimo e ridiventata un
paese civile di primo mondo.
Lo
Stolto aveva calcolato allora di essere arrivato al momento buono per
colpire: scaricare tutto il resto del governo per regnare
indisturbato e così aveva messo in atto una deprimente scena di
cabaret, degna di un libro dello scrittore brasiliano Jorge Amado
(che ho conosciuto bene e che di miseria se ne intendeva assai), dove
il traditore si spacciava per tradito e chiedeva alla maggioranza di
governo di levarsi di mezzo, di farsi largo, per farlo governare da
solo e con pieni poteri.
Siamo
nel 2020, in un epoca strana che sembra invidiare il passato e aver
paura del futuro, senza mai concepire l’idea del proprio presente.
Sarà
stato il troppo caldo in testa allo Stolto, prodotto dal
riscaldamento globale al quale aveva più volte allertato la piccola
Gretta (criticata e minacciata dalle Bestie dello Stolto), oppure il
mojito di troppo, che con il sole di una estate mediterranea
particolarmente calda fosse salito alla sua testa, o semplicemente
l’idea che l’amuleto di Maga Magò, lontana ormai dal Vesuvio dei
terroni e trasferitasi nella triste vale della Padania, in quel lembo
di terra chiamato Busto Arsizio, li aveva dato quel “tcham” di
invincibilità? Lo Stolto si sentiva un Dio grazie anche a quei
calcoli più calcoli, a cui ormai si era abituato a fare e che lo
indicavano al top (anche se la matematica non è una opinione) per
prendersi la guida della nazione. Ma i calcoli dello Stolto si erano
rivelati molto approssimativi e fu così che…
Lo
Stolto è caduto.
E’
caduto vertiginosamente e anche vergognosamente in un oblio di
profondità sconfinata proprio lui, l’uomo dei confini, dei blocchi
navali e dei muri… Impossibile calcolare la scesa agli inferi del
povero Stolto.
Perché
“Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, si dice.
In
contemporaneo, miracolosamente, le persone tutte, i cittadini,
sembravano essersi liberati da un incantesimo terribile ed
improvvisamente erano ricresciuti i fiori della speranza e dei valori
civili (salvo qualche gramigna) e gli italiani sembravano non essere
più in preda alle allucinazioni della purezza razziale, dell’odio
verso tutti e dentro il petto della gente era finalmente ritornato a
battere un cuore umano, italianissimo ed era tornata in ciascuno
quell’anima italiana, libera, solidale. Eravamo tornati ad essere
dei veri Uomini, dei veri cristiani, dei veri veri! Era arrivato,
finalmente il giorno della liberazione per tutti quanti.
M
come i film Horror
che non finiscono mai senza la fatidica scena dove il male
apparentemente sconfitto si insinua, dando a capire allo spettatore
che i guai non sono del tutto finiti, anche questa narrazione non
potrà finire come nelle fiabe con la frase che concilia il sono agli
innocenti e mette serenità e pace al loro cuoricino: “E vissero
felici e contenti”.
Dopo
un po' di chilometri fatti di faticosa risalita, lo Stolto si
affaccia alla superficie dei media col suo ghigno, e con l’aiuto
degli zombi e qualche mummia ricomincia, seppur con più discrezione,
la medesima campagna di disumanizzazione del paese.
Meno
cabaret e meno soldi pubblici a disposizione (a parte quei 49 milioni
rubati al popolo e quei soldi russi di cui abbiamo una scarsa
notizia), colpisce con meno grinta di prima, ma ci prova lo stesso; è
il solo modo per riprendersi il potere ( “il mio tesoro”, come
avrebbe detto Smilzo, nel Signore degli Anelli”), anche se precari
così come sono, vuoti così come sono, miserabili così come sono.
Come
fanno a farsi credibili a qualcuno è un mistero dell’era internet
da svelare, dove appena rimessa in moto la propaganda dell’odio,
riesce insieme alle sue bestie a trasformare un qualsiasi individuo
pacato in predatore incompassionevole. E di bestie lo Stolto se ne
intende, come anche Trump. Bolsonaro in Brasile e tanti altri stolti
sparsi per il pianeta.
Lo
Stolto bacia il crocifisso come un mafioso qualunque. Porta con sé
la triste immagine della Madonna a spasso, come un qualunque capo
mafia italiano, per esporla come si fosse una delle povere donne del
Festival di Sanremo. Evoca un dio che nessuno che abbia un minimo di
conoscenza del bene e del male vorrebbe mai adorare, eppure ci
cascano.
Ed
ecco che arrivano le Sardine! Non portano con sé né bandiere di
partito nè di nazione, e ripudiano l’odio. Riempiono le piazze di
Italia di tutta quella bella gente che avevamo scordato l’esistenza.
Riempiono il vuoto di una sinistra italiana che non ha più il
coraggio di osare. Riempiono di uomini, donne, giovani, giovanissimi
e anche di bambini quelle piazze che poco tempo prima erano state
scenario di violenza e di barbarie.
Non
hanno un partito. Non sono un partito politico. Le Sardine sono
quella bella fetta di resistenza all’ignoranza e al male comune.
Sono giovani. Sono anche vecchi e disabili. Sono il popolo
dimenticato e dato in pasto agli squali della politica nazionali.
Sono la voce tenuta in disparte. Sono quei 20 mila disoccupati
dell’accoglienza ai profughi che Luigi di Maio ha voluto ignorare.
Sono quei 5 milioni di volontari che operano nel sociale dando lustro
e sostituendo la mancanza di servizi di questo paese assurdo, che
nessun politico vuole considerare. Sono adesso loro i Partigiani di
Italia, che come allora, verrano riconosciuti nel valore del loro
grido all’umanità e nella forza del proprio riscatto umano. Sono i
protagonisti di una umanità migliore, anche se adesso è così
abbandonata dai politici. Sono la carne e le ossa di questa terra
rinascimentale e sfoggiano la più bella espressione politica di
cittadinanza attiva che sembra non trovare più alcun spazio nelle
istituzioni.
Katia
Fitermann
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